Pensieri  sulla Rocca.

 

 

Erano quasi dieci anni che non gli succedeva una cosa simile: guardava le nuvole e scopriva che la loro leggerezza gli apparteneva, neanche fosse fatta, la sua intima materia interiore, della stessa che formava quelle grandi evaporazioni di sistemi naturali, quelle grandi umidità della vita.

Poi, salito sul colle, e ignorati i tristi detriti, che gli uomini erigono cercando di onorare la storia, guardò giù verso la pianura scaccata di giallo, verde e di campiture rosate, che l'occhio ricostruiva come agglomerati di case, dei quali trovava curioso come la sola distanza li rendesse inumani, alla stessa stregua degli altri rettangoli, solo di colore diverso.

Accordò il proprio sentire acuendo l'atmosfera che per forza doveva esserci là intorno, così sospesi sopra il paese, ma avvertì solo un'eco lontana di uomini che avevano buttato la loro vita in pasto ad un grande niente che li risucchiò, senza che potessero scegliere tra la gioventù e quella imminente deflagrazione.

Si sentì, al loro diacronico cospetto, un po' vile pensando che un simile posto a lui evocasse, poi, gli occhi azzurri e la tenera pelle di una ragazza, che rifletteva l'immensa leggerezza delle nuvole.

Lassù, ne era certo, era successo qualcosa che le guide del tabaccaio raccontavano, ma non di questo sentiva sussurrare nella sua mente, nei labirinti della memoria, piuttosto avvertiva una dilatazione dispersiva, un rimescolamento dei pensieri centrifugati e divenuti irriconoscibili, ridotti alle molecole che li componevano.

Perché forse perdeva sempre più contatto col mondo, sentendo altezze himalayane da quel colle e incontrando progressivamente sé e la sua dolce solitudine.

                       Cornuda 10.6.1994